La Romania passa al salario minimo europeo. Un nuovo fattore di criticità per l’economia romena.

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Il Governo romeno ha approvato il 21 giugno 2024 la Legge sulla fissazione del salario minimo europeo, che garantisce il recepimento nella legislazione nazionale della Direttiva (UE) 2022/2041 del 19 ottobre 2022 del Parlamento Europeo e del Consiglio sul salario minimo adeguato nell’Unione Europea. Il progetto di legge dovrà essere sottoposto all’approvazione del Parlamento romeno in via d’urgenza. Il nuovo provvedimento normativo introduce nella fragile economia romena elementi di instabilità (esempio stabilisce che il salario minimo non deve essere inferiore al 50% del salario medio lordo e non può essere mantenuto per più di 24 mesi etc) che potrebbero comportare nel medio periodo difficoltà per le aziende locali. Come è nella esperienza passata e attuale delle imprese romene, ogni provvedimento di legge che aumenta l’asticella minima del salario si riflette in una richiesta da parte delle maestraenze di un aumento generalizzato delle retribuzioni. Questo significa che a prescindere dalla produttività del fattore lavoro il prestatore sarà autorizzato a richiedere uno scatto salariale nella proporzione dell’aumento del salario minimo legale rispetto al precedente benchmark legale. Ulteriormente, come ha esposto il professor Christian Năsulea (fonte www.digi24.ro): ” Il primo problema è che il salario minimo porta sempre alla perdita di posti di lavoro, ha effetti negativi per le persone che, in teoria, dovrebbe aiutare. Il secondo problema con il salario minimo europeo è il principio secondo cui se aumentiamo il salario minimo, ciò spinge verso l’alto il salario medio. Abbiamo un calcolo matematico che non finisce mai, un circolo vizioso che crea squilibri e fa salire i redditi e l’inflazione. L’aumento è di circa 260 lei netti per i rumeni che ora ricevono il salario minimo. L’aumento è diverso perché una cosa è vivere a Bucarest, un’altra a Vaslui. Per questo motivo l’idea stessa di salario minimo presenta problemi fondamentali, parliamo del potere d’acquisto, dei bisogni di una famiglia. Il governo ha pensato che questo fosse un costo da imporre con la forza al settore privato. Quando si tratta del settore privato, il problema è che se le aziende non hanno soldi, finiranno per licenziare le persone, e arriviamo al problema fondamentale della perdita di posti di lavoro. Ci saranno problemi anche per lo Stato, sembra che i politici all’inizio non abbiano fatto tutti i calcoli per sapere quanto costerà questo aumento al bilancio, perché tutti gli stipendi del settore pubblico sono riportati al livello del salario minimo,”.

Se la aziende del settore privato subiranno una perdita in termini di profitto, saranno meno profittevoli per i soci, meno concorrenziali rispetto al mercato europeo e mondiale, costrette a licenziare, ristrutturare il business, chiudere.

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Cristian Meneghetti

Commercialista italiano, opera in Romania, esperto in fiscalità internazionale, laureato in Economia e Commercio presso l’Università di Venezia.