Direttiva Madre-Figlia
Dopo l’accordo politico raggiungo il 9 dicembre 2014 ed un precedente emendamento formulato nello scorso mese di luglio 2014 (per la parte la parte relativa agli Hybrid Mismatch Arrengements) successivi alla proposta di revisione del novembre 2013 da parte della Commissione europea, è stata approvata formalmente dal Consiglio Ecofin l’introduzione di una clausola vincolante anti-abuso quale regola de minimis nella direttiva n. 90/435/CEE, nota come direttiva madre-figlia, poi confluita nella direttiva n. 2011/96/Ue.
La direttiva disciplina la tassazione degli utili distribuiti nei casi in cui, all’interno di un gruppo societario, società madre e società figlia, cioè società avvinte da legami partecipativi, appartengano a differenti Stati membri dell’Unione Europea.
La finalità “nobile” della disciplina è quella di favorire, in coerenza con i principi comunitari, e di garantire la libera circolazione dei capitali all’interno del mercato comune e di evitare la creazione di “barriere” alla formazione di gruppi societari transfrontalieri, introducendo disposizioni fiscali improntate alla massima neutralità fiscale.
In particolare si intende eliminare la possibilità di doppia imposizione degli utili distribuiti in forma di dividendi dalle società figlie, stabilite in uno Stato membro, alle corrispondenti società madri, stabilite in un altro Stato membro, dovuta al simultaneo intervento di regimi tributari di due Stati differenti.
In base all’accordo raggiunto il 9 dicembre 2014 ed ora tradotto in testo normativo gli Stati membri non dovranno concedere i benefici della direttiva agli accordi, o ad una serie di intese, posti in essere con lo scopo principale di ottenere vantaggi fiscali contrari allo scopo della direttiva e che non sono genuini in quanto non riflettono una valida realtà economica, non siano cioè autentici.
La finalità è quella di contrastare evasione ed elusione nonché la pianificazione fiscale aggressiva da parte delle società, fenomeni che “costano” all’Unione europea, secondo le stime comunitarie, ben 1.000 miliardi di euro di potenziale gettito fiscale, vale a dire un onere annuo di circa 2.000 euro per ogni cittadino del Vecchio Continente.
Gli Stati membri hanno ora tempo fino al 31 dicembre 2015 per introdurre la disposizione approvata nelle legislazioni interne con facoltà di ulteriore inasprimento rispetto allo schema delineato in sede comunitaria.